Arianna Mihajlovic non riesce a mettere da parte l’immenso dolore che un anno fa le ha dato la morte del marito Sinisa. «Oggi come oggi provo a vivere la quotidianità per i miei 5 figli e la nipotina, ma la vita è difficile e se ogni tanto sorrido… nessuno si arrabbi perché ci devo provare».
Lo scorso 16 dicembre per Arianna Mihajlovic è stato un giorno molto duro, visto che dalla scomparsa di suo marito Sinisa Mihajlovic, defunto a soli 53 anni, era già passato un anno. Un dolore che non finisce e che non si mitiga, visto che Arianna sui social non si dà pace, e posta quasi ogni giorno le foto che le ricordano il marito, calciatore e allenatore serbo approdato in Italia negli anni novanta: «A volte ho avuto comportamenti un po’ bizzarri che non sono stati compresi da molti di voi e questo lo capisco – ha commentato Arianna in occasione della dolorosa ricorrenza – è stato un anno difficilissimo per me ed ho cercato con tutte le mie forze di andare avanti di combattere e di vivere». «Ho cinque figli una nipotina ed una famiglia che non vorrebbe mei vedermi crollare – ha concluso Arianna con la forza di una leonessa – ed io non l’ho fatto e non lo farò! Molti mi sono stati accanto e chi c’è stato lo sa perfettamente ed è a loro che devo dire infinitamente Grazie. Mio marito c’è e rimarrà sempre nel mio cuore. Buon anno a tutti!».
QUANTA TRISTEZZA DOPO UN ANNO DIFFICILE
Ventisette anni insieme al suo Sinisa e la coscienza di averlo perso per sempre, che Arianna sta scoprendo soltanto in questi giorni: «Solo in quest’ultimo mese sto prendendo coscienza del fatto che mio marito non c’è più – ha spiegato Arianna Mihajlovic Rapaccioni in una dolorosa intervista di questi giorni – i primi mesi, non capivo più nulla, stavo a Roma, dove mi ero stabilita quando i figli hanno iniziato le superiori, e avevo come la sensazione che Sinisa fosse ancora vivo e fosse ancora a Bologna ad allenare la squadra».
ANCORA LO SENTO VICINO A ME
«È stato tutto così strano – ha racontato Arianna Mihajlovic in un’intervista sul Corriere dopo tanto silenzio – sentivo la sua presenza fisica in casa e quasi non sentivo la sua mancanza. Pensi che, nel momento in cui è mancato, ero talmente sotto shock che sorridevo a tutti. Forse, perché perdere mio marito è stato il mio primo lutto. Dopo, per mesi, ho avuto sensazioni da chiedermi se ero pazza. Ho sentito delle mani sulle mie mani, proprio delle mani che avvolgevano le mie. E, una notte, l’ho sentito stendersi accanto a me nel letto, ho avvertito il materasso che sprofondava da una parte. Poi, ho cominciato a parlare con altre persone che hanno subito un lutto e ho scoperto che non ero io pazza, ma che queste esperienze appartengono a molti. Io sentivo il rumore delle sue ciabatte in cucina. Lui, in casa, portava sempre ciabatte che scricchiolano tanto. È successo nei primi mesi, ora non più. Ma forse erano suggestioni dettate dal pensiero costante che ho di lui».
SINISA HA COMBATTUTO LA LEUCEMIA PER QUATTRO ANNI
«Mio marito aveva la leucemia ma non pensavo potesse morire. Poi, certo, non sono stupida e la sua era una malattia importante, ma anche lui negava l’evidenza. Se qualcuno gli chiedeva cos’aveva, diceva: ‘amo’ che malattia ho?’ Mi chiamava così: amore. E io: hai la leucemia mieloide acuta. Sinisa non leggeva i referti, non guardava su Internet, voleva solo sapere quali cure fare. Ha sperato fino all’ultimo di guarire. Ha lottato come un leone, ha fatto cure allucinanti, due trapianti, una cura sperimentale tostissima… Gli sono stata accanto negli ospedali per quattro anni. Credo che il mio stato shock dipenda anche dalla sofferenza vissuta insieme. Ricordo ancora i suoi occhi terrorizzati quando ci hanno detto che aveva una recidiva. Ricordo gli esami che andavano male. Ricordo il rito, tutte le mattine di fare le analisi e aspettare i referti e, ogni volta, i globuli bianchi che risultavano anomali».
IL DOLORE DELLA FINE QUEL 16 DICEMBRE
Ancora oggi Arianna ricorda quei giorni tragici e sui social posta le foto felici con l’uomo della sua vita, con un dolore che non riesce ancora ad attenuare: «Qualche giorno prima di andare via si è svegliato con un principio di emorragia, io gli ho prestato le prime cure come mi era stato insegnato, ho chiamato l’ambulanza, ma lui non voleva salirci, ci teneva ad andare in ospedale con le sue gambe. Per giorni, io e i figli gli siamo rimasti accanto a turno e la cosa struggente è che l’ultima notte, invece, eravamo tutti lì. I figli erano nella stanza accanto, c’ero io, sua madre, suo fratello con la moglie, il suo miglior amico, mia madre. Quando mi sono resa conto che il suo respiro è cambiato e che il mio Sinisa era arrivato alla fine ho chiamato i ragazzi. Eravamo tutti in silenzio attorno a lui. Gli ho tenuto la mano, l’ho visto lottare col respiro sempre più pesante. Mi è venuto da dirgli: vai, non ti preoccupare, ai ragazzi ci penso io. Solo a quel punto è spirato».
VIVO MA ANCHE SE NON LO FACCIO VEDERE SOFFRO TANTISSIMO
A chi le ha dato una mano dal punto di vista psicologico Arianna deve molto, soprattutto quando le è stato posto il bivio a cui era arrivata: «Vivere o morire, cosa scegli? Ho risposto: vivere. Anche perché, come non ho voluto mostrare la mia sofferenza a mio marito, allo stesso modo non mi piace farla vedere ai miei figli. A partire da quest’estate, ho ripreso a uscire e non m’importa se qualcuno, vedendomi sui social, mi giudica. Ognuno ha il suo modo di elaborare il lutto e se mi vedono sorridere in una foto non significa che non soffro».
Sinisa Mihajlovic e Arianna Rapaccioni si sono conosciuti negli anni ‘90, quando lei lavorava in tv nel programma Luna Park. Per amore suo Arianna aveva deciso di lasciare in stand by la carriera e dedicarsi a lui e alla famiglia che insieme hanno costruito. Si sono sposati il 28 giugno del 1996 e, venticinque anni dopo, avevano festeggiato le nozze d’argento dicendosi ancora sì. «Ne abbiamo fatta di strada in questi 25 anni – avevano commentato – Le gioie di oggi, i ricordi di ieri e le speranze di domani».