Seul mescola il presente al passato in ogni cosa, i ristoranti presentano i cibi ereditati da una cultura antica, la società coreana è chiusa al rimescolamento delle etnie moderne e questa fissità si riflette non solo nell’aspetto strettamente orientale, ma anche nelle abitudini di vita. Così quando ti trovi nel quartiere di Insadong arrivi presto nella piazza Gwanghwamun con le statue enormi dei principi e la visione maestosa del palazzo reale di Gyeongbokgung e Geunjeongjeon (imparare lo spelling giusto per noi occidentali è una missione impossibile). Abituata al nostro 1300 con le sue cattedrali gotiche e alla maestosità delle chiese di pietra rinascimentali come il Vaticano e le opere monumentali europee, l’architettura coreana è un concetto totalmente diverso. I palazzi coreani sono semplici strutture in legno a un piano che si estendono tra enormi cortili sterrati e giardini, con muri che spesso sono porte scorrevoli che lasciano che il dentro si mescoli al fuori. Se dal punto di vista della moderna ricerca dell’eco-casa che vuole edifici che si inseriscano nella natura adattandosi ai suoi flussi, queste case di legno sono state vittime di ripetuti incendi da parte dei nemici e, rase al suolo, sono state ricostruite uguali a prima. Quindi quello che sto vedendo non è un pezzo di archeologia ma la ricostruzione di un’idea. Un’idea che oltretutto ha bisogno di continue riverniciature della superficie per conservarne lo splendore dei colori. Là dove il legno non viene trattato da più di cinque anni, c’è il processo di disincrostazione della vernice con il risultato spento di un luogo abbandonato.
Sul trono i cinque elementi della natura
Mentre seguiamo i percorsi della visita, contemplo la sobrietà dei saloni da assemblea del re, con il trono al centro costruito da un intarsio di legno che sembra un pizzo ricamato, mentre dietro fa da sfondo il tipico dipinto delle cinque montagne che indicano i cinque elementi su cui si basa il mondo: legno fuoco terra metallo e acqua. Ed immagino i tempi lontani, quando gli imperatori sedevano di fronte alla corte dei nobili e dei notabili di palazzo o prendevano il the con le proprie consorti. Palazzi per la moglie e palazzi per le concubine che potevano arrivare a 80, la vita di corte per le donne era una continua minaccia alla detronizzazione dal cuore dell’imperatore. Donne che dovevano muoversi sempre nel palecchino, un baldacchino che le nascondeva all’occhio del profano, nessun ritratto a testimoniare le loro fattezze. Tra un palazzo e l’altro, i cortili che durante la stagione delle piogge si trasformavano in piccoli laghi, difficile muoversi anche solo dal salotto alla camera da letto posta cento metri vicino, il re si serviva dei palecchino per non sporcarsi i piedi, e visto che il suo compito era lo scambio diplomatico, spesso i monarchi soffrivano di quelle malattie che la vita sedentaria e i lauti banchetti ci procurano: diabete e ipertensione. I medici di corte occupavano un settore a parte della comunità di corte e tra sciamanesimo e agopuntura provvedevano alla salute della famiglia reale. Prima che arrivasse la filosofia confuciana si credeva o negli spiriti o nel dio buddista, e mentre il cristianesimo si è affacciato negli ultimi secoli diventando la religione principale, oggi la maggioranza dei coreani si professa atea. Anche se poi la grazia di questo popolo nel muoversi nelle pieghe della quotidianità come anche nella lotta con la raffinatezza delle arti marziali, conserva un eco quasi religiosa, come se il tracciato tra il mondo della carne e quello dello spirito non fosse mai così netto.